GIONA COLOMBO _ FOTO DI CAMILLA ZALI

Cari don Milani e alunni,

ho letto recentemente la vostra “Lettera ad una professoressa” e ne sono rimasto favorevolmente colpito, anzi ho pensato che dovrebbe essere proposta nelle scuole di oggi almeno come testo antologico se non come alternativo sistema educativo.

Voi definite nel 1963 la scuola tradizionale “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”, in riferimento alle promozioni e alle bocciature. Scrivete in un piccolissimo paese (Barbiana, 39 anime) della diocesi di Firenze, dovendo fare scuola ai figli dei contadini che spesso erano bocciati alle elementari o non potevano frequentare le scuole medie, perché troppo lontane. È giusto che voi siate contrariato con quella maestra che dice al padre di un alunno che non è portato per lo studio, che è meglio mandarlo a lavorare nei campi, anziché spendere inutilmente denaro per le scuole medie. Il padre invece lo manda a scuola dal priore, una scuola a tempo pieno, dove non si è ossessionati dalle ore e dal programma. Dura sette giorni su sette: i ragazzi più grandi insegnano a quelli più piccoli finché non hanno capito, non ci sono voti né esami, nulla di tutto ciò. È certamente un modello rivoluzionario, suscita interesse negli alunni, si discute di attualità, si leggono giornali, nessuno non si sente “portato” per una materia perché è impossibile; Dio infatti ha messo la stessa quantità di intelligenza in ognuno. Perciò è inevitabile che il disinteresse e la scarsa applicazione da parte dell’alunno non dipendano esclusivamente da lui.

Già mi immagino i commenti di certi insegnanti nei confronti di questa scuola “intollerabile”, appunto perché giusta e molto più formativa. Il ruolo del docente è descritto con dovizia di particolari ed è totalmente antitetico a quello tradizionale. Bisogna che si capisca che per esercitare questa “professione”, mi si conceda l’uso improprio del termine, non basta avere una laurea, occorre la vocazione. Proprio così, ma quanti oggi sono insegnanti pur non avendo nessun requisito spirituale per esserlo? Magari credono anche di fare bene il loro dovere e, se gli alunni non studiano o non si applicano, è solo colpa loro, non certo del professore. A proposito di questo ruolo, nella vostra scuola mi pare significativo sottolineare quanto teniate in conto e valorizziate questa alta missione oggi tanto bistrattata. Voi sostenete che “la scuola a tempo pieno presume una famiglia che non intralcia. Per esempio quella di due insegnanti, marito e moglie, che avessero dentro la scuola una casa aperta a tutti e senza orario. Gandhi l’ha fatto. E ha mescolato i suoi figlioli agli altri al prezzo di vederli crescere tanto diversi da lui. Ve la sentite? L’altra soluzione è il celibato. È una parola che non è di moda. Per i preti la Chiesa l’ha capita circa mille anni dopo la morte del Signore. […]”.

È indubbio che il docente da voi prospettato sia un modello al quale si può aspirare e prendere come riferimento; non dico che, per esempio, il celibato non sia una virtù ammirevole, nondimeno non obbligatoria. E’ certo che, trattandosi del ruolo dell’insegnante, la famiglia non dovrebbe rappresentare un ostacolo. Ci portate anche il caso classico di un professore che si trova di fronte ad un compito e pensa:“il compito merita quattro e io gli metto quattro!” non rendendosi conto di aver fallito. A parte il fatto che il sistema dei voti è sbagliato, voi confermate, perché è l’arma peggiore, assieme agli esami, in mano ad un professore che può disporne come meglio crede e spessissimo ne abusa, facendo preferenze o non essendo oggettivo. Per questo vanno eliminati, oltretutto mettono in competizione gli alunni e hanno l’effetto di far studiare solo per prenderne di alti, quasi che la scuola fosse un concorso a punti. È sbagliato giudicare uguali alunni così diseguali tra loro. Nell’Italia del vostro tempo, dati alla mano e ricerche accurate, raccontate tutte le dinamiche delle bocciature e quanto siano dannose. Addirittura citate alcune teorie che vorrebbero i ragazzi nati diversamente, ovvero che esisterebbero alcuni deficienti e svogliati (spesso i poveri) e alunni intelligenti (dove possano nascere lo si intuisce). Che sia una visione classista lo capiamo bene. Ma, scrivete, “Dio non fa questi dispetti ai poveri, è più facile che i dispettosi siate voi. Alla Costituente, chi sostenne la teoria delle differenze di nascita fu un fascista,  l’on. Mastroianni: riferendosi alla parola obbligatorio,osserva che ci sono alunni che dimostrano una insufficienza di carattere organico a frequentare le scuole-”. Pensieri che sembrano appartenere ad un passato lontanissimo e che invece risalgono a pochi decenni fa.

In ultimo, vorrei spendere qualche parola sulle ripetizioni, da voi tanto detestate e contro cui vi scagliate con molta veemenza. Tante volte un insegnante trova che un alunno faccia fatica nella sua materia e consiglia ai genitori di mandarlo a prendere ripetizioni; così pensate voi “Ci sono dei professori che fanno ripetizioni a pagamento. Invece di rimuovere gli ostacoli (come afferma la Costituzione all’art. 3) lavorano ad aumentare le differenze. La mattina sono pagati da noi per fare scuola eguale a tutti. La sera prendono denaro dai più ricchi per fare scuola diversa ai signorini. A giugno, a spese nostre, siedono in tribunale e giudicano le differenze.[…] Se un impiegatuccio comunale, a casa sua, a caro prezzo, facesse certificati presto e bene e allo sportello li facesse lentamente e inservibili, andrebbe dentro”. Ma non va dentro un professore di cui so che disse a una mamma :- Non ce la fa. Lo mandi a ripetizione-. Ha detto letteralmente così. Ho i testimoni. Potrei portarlo in tribunale. In tribunale? Da un giudice che ha la moglie che fa ripetizioni?” . Non credo che queste vostre parole vadano commentate.

La scuola è una grande e importante istituzione, purtroppo ho l’impressione che sia eccessivamente sottovalutata e che coloro i quali dovrebbero averla a cuore e difenderne l’onorabilità non hanno nessun amore verso di essa. Però non dimentico e non voglio certamente tralasciare di ricordare i molti che in silenzio lavorano e si prodigano quotidianamente per migliorarla e che la amano.

Caro don Milani, cari alunni, sono ormai passati diversi anni da quando deste alle stampe la vostra lettera, certe dinamiche sono sparite, altre no. Non so se la scuola raggiungerà quel grado che voi prospettate. So per certo invece che occorrerebbe introdurre un modello più equo e lo spero. Con questa speranza, rincuorata dal fatto che alcuni sono d’accordo con voi e con me, vi porgo i miei più distinti saluti.