Spunto da “Il Comandone” di R.Dahl
Cominciai a guardarmi attorno quasi come se fossi in cerca di qualcosa, o meglio, di qualcuno. All’improvviso i miei occhi si posarono su una figura particolare: era una donna sulla quarantina, indossava dei jeans aderenti che si svasavano sotto il ginocchio, una camicetta rossa che le esaltava il punto vita; i capelli castani erano raccolti dietro la nuca con un fermaglio argentato; le scarpe con i tacchi le davano una forma ancora più allungata e infine le mani, piccole e con le dita affusolate, si poteva pensare che suonasse il pianoforte o che fosse un’insegnante. Quella donna attirava su di sé molte attenzioni, soprattutto da parte degli uomini che, come incantati, salivano sul treno dimenticando la ventiquattr’ore ai piedi della panchina. La donna rideva mostrando le sue labbra sottili tinte di un rosso vivace e la sua dentatura perfetta; si atteggiava con disinvoltura e scherzava con le altre persone. Chiunque la vedesse non poteva trattenere il sorriso. Giorno dopo giorno la nostra stazioncina di campagna si trasformava. Non era più silenziosa e monotona, ma chiassosa e vivace. Le persone cambiarono il loro modo di vestirsi: non si vedevano più le classiche persone in nero e in grigio ma cominciarono a comparire colori più accesi che rispecchiavano la personalità di ognuno. Cravatte azzurre, cappelli gialli, gonne a pois e a righe rendevano l’anno un carnevale perenne. Tutto questo ambiente di armonia e vitalità terminò una mattina di ottobre, quando, già da un paio di giorni, la sconosciuta non si fece più vedere. Da quella mattina ricominciò la classica routine di ogni persona in quella stessa, monotona, stazione di campagna.