IRENE ZANETTI
Inevitabile e necessario da sempre è il confronto tra uomini e tra popoli in quanto portatori di concetti, costumi, usi e culture che spesso differiscono tra loro. Questo incontro-scontro ha dato luogo a conflitti, guerre, rivalità e ai grandi drammi dell’umanità. Radicata nell’uomo è infatti l’idea della superiorità del gruppo sociale a cui appartiene, una mentalità sempre più criticata ma che nel corso della storia è giunta, se portata all’eccesso, a estreme conseguenze. Basti pensare a quanti secoli siano stati necessari per avere riconosciuti il principio di tolleranza o la libertà di pensiero. Ogni collettività dotata di coesione sociale e di forte identità culturale pone infatti sé come metro di giudizio rispetto agli altri e, dando per certa e dogmatica la propria idea di “uomo”, fatica ad accettare e spesso rifiuta “l’altro”. Montaigne afferma che “ognuno chiama barbarie quello che non è nei suoi usi”: condizionati dalla mentalità dominante, dall’educazione, dal contesto storico-politico e dai pregiudizi consideriamo giusto, superiore, perfetto solo ciò che è proprio della nostra cultura. Si professa da decenni un’apertura inattuata in quanto troppo spesso si parte dalla convinzione dell’inferiorità dell’altro e si è perciò incapaci di oggettivare i propri giudizi. I conflitti tra civiltà nascono in molti casi dall’intima e radicata convinzione che la propria alterità sia migliore e dall’incapacità di abbattere definitivamente ogni pregiudizio o stereotipo. L’uomo per natura si limita a considerare esclusivamente il proprio punto di vista, legato al proprio vantaggio e interesse. Rappresentative sono le parole scritte da De Sepulveda e De Las Casas su uno stesso evento storico, definito dal primo “giusta guerra contro gli Indios” e dal secondo “distruzione delle Indie”. E così gli spagnoli di Sepulveda “eccellenti in ogni genere di virtù”, benefattori e civilizzatori rappresentano per Las Casas “bestie” che hanno “ammazzato e distrutto tante e tali anime” mossi da “sfrenata brama dell’oro” e dal “desiderio di riempirsi di ricchezze”. Allo stesso modo gli Indios dapprima vengono definiti bestie, “gente barbara e incolta”, “omuncoli nei quali a stento potrai riconoscere qualche traccia di umanità”, mentre per Las Casas diventano “agnelli mansueti”, vittime innocenti dell’inaudita crudeltà dei cristiani. Chi è dunque l’uomo e chi la bestia? Se quella che per alcuni è una giusta civilizzazione per altri rappresenta una forzata sottomissione, chi può definire cos’è la civiltà? Il confronto tra due tipi di mentalità si tramuta irrimediabilmente in uno scontro in assenza della volontà di comprendere il dissimile e della capacità di accettarlo. Razzismo e nazionalismo estremo hanno portato l’uomo a compiere i gesti più scellerati e paradossalmente la sua costante lotta in nome della civiltà l’ha condotto a perderla quasi del tutto. Sebbene l’Europa sia ormai un continente multinazionale e “colorato”, pregiudizi e stereotipi continuano a orientare le persone nella direzione del rancore e dell’odio razziale, soprattutto attualmente in merito alle ondate migratorie provenienti dai paesi del cosiddetto “Terzo Mondo”. È necessario più che mai ricercare un compromesso culturale troppo a lungo evitato o negato allo scopo del riconoscimento dei limiti e delle potenzialità proprie e altrui. Tutti sono stati migranti e tutti hanno subito, in momenti diversi della storia, l’umiliazione e il dramma dell’esodo ma è amaro constatare come l’atteggiamento difronte all’estraneo sia rimasto quasi del tutto immutato. “Non c’è stereotipo rinfacciato agli immigrati di oggi che non sia già stato rinfacciato, un secolo o solo pochi anni fa, a noi” afferma Stella. La mancanza di solidarietà umana resta una grave piaga sociale: per quanto difficile bisogna uscire da schemi mentali predefiniti che si riducono a superficiali stereotipi e che sminuiscono quel progresso e quell’umanità ostentata ma mai realmente applicata. Mali comuni sono ormai l’egoismo che porta a prevaricare senza alcuno scrupolo tutto e tutti ma soprattutto l’ipocrisia di chi riconosce sul piano formale i propri errori di giudizio ma che tarda da anni a mettere in pratica i buoni propositi destinati a diventare un’utopia effimera. Le divisioni razziali, culturali, religiose hanno solo contribuito a dividere gli uomini e ad allontanarli dalla coscienza della presenza di un’essenza comune ad ognuno. Le immense potenzialità dell’umanità unita vengono bruscamente annullate da incomprensioni e chiusure ingiustificate. Traguardi in ambito tecnico e scientifico, conquiste e scoperte eccezionali vengono mortificate da mentalità incapaci di superare aprioristici giudizi di massa. Amara è la coscienza di non riuscire a comprendere che le diversità devono essere stimolo e non ostacolo all’interazione e al confronto.