GEREMIA MARCELLO

Nel mese di dicembre la professore Maria Rosa Pantè ha tenuto nella nostra classe, 1 Classico, una lezione sul mito. Durante questo intervento, ha illustrato e commentato due suoi scritti in cui ha reinterpretato le figure di Arianna e Cassandra, celebri personaggi della mitologia greca. Per ognuna delle due donne ha scritto una poesia e un brano in prosa. Ci è sembrata particolarmente interessante e originale la sua idea di immaginare il filo dato a Teseo fatto dei capelli di Arianna. Al termine delle letture, la professoressa Pantè si è dimostrata particolarmente interessata agli elaborati prodotti da noi studenti; anche noi infatti ci eravamo cimentati nel compito di far rivivere figure mitiche studiate durante il percorso scolastico o modificandone la storia o narrandola dal loro punto di vista. Il lavoro, proposto dalla professoressa Sala, ci ha incuriosito e interessato, così come la lezione sul mito.
Ecco alcune nostre voci:
Quale brano letto in classe ti è piaciuto maggiormente e perchè?

FILIPPO: Ho trovato particolarmente interessante il brano relativo ad Arianna e la teoria in esso contenuta, decisamente originale.

Ti piacerebbe rifare un’esperienza del genere?

FILIPPO : Sì, mi piacerebbe molto perchè sono molto appassionato ai miti e alle divinità greco-latine; inoltre avere davanti una scrittrice non è una cosa da tutti i giorni.

PIETRO: Assolutamente sì, perchè la reputo un’esperienza molto interessante e utile. Non mi era mai capitato di vivere una situazione simile e ne sono rimasto entusiasta.

GIULIA: Sì, mi piacerebbe davvero tanto ripetere questa esperienza in quanto è stata molto costruttiva per tutta la classe. Non mi sarei mai aspettata di assistere ad un incontro del genere, inoltre non immaginavo che una docente del mio stesso istituto avesse elaborato una raccolta di miti. Inizialmente ero un po’ scettica siccome non sono una “fan” di questo tipo di opere, ma la professoressa è riuscita a rendere la lezione piacevole e interessante.

Come hai affrontato la riscrittura di un mito?

FILIPPO: Sinceramente non avevo mai pensato di farlo, soprattutto per quanto riguarda un  mito iconico come quello di Edipo, ma ammetto di essermi divertito molto a svolgere questo lavoro.

PIETRO: All’inizio ero un po’ spaesato, siccome un lavoro del genere non l’avevo mai affrontato, ma con impegno e dedizione sono riuscito a creare un elaborato a mio parere originale.

GIULIA: E’ stato molto interessante e particolare, dato che era un lavoro del tutto nuovo. In alcuni momenti è stato come se si fosse risvegliata una creatività a cui non davo più importanza.

 

FILIPPO MARLETTA: LAIO E LA PIZIA

“Padrone! State bene?” urlo disperatamente, Re Laio è appena scivolato dal ripido versante, cadendo nel vuoto per circa tre metri… E pensare che io l’avevo anche avvertito! Portarsi dietro un’armatura, come la mia, era la scelta migliore, ma lui ostinato indossava solo una tunica purpurea. “Maledetta sia tu Delfi! E Maledetto sia il tuo Oracolo!” tuona Laio, di nuovo in piedi. La marcia continua. Veloce, più veloce, i versanti si alternano l’uno all’altro senza fine. Poi la pioggia.
“Padrone, la tempesta si avvicina! Cosa dobbiamo fare?”
“Così conciato, bagnato fradicio e senza un’armatura, non posso continuare…”
“Potresti far…”
Una lama mi attraversa il petto.
“Grazie mille, prendo la tua”.

Molto meglio vestito così. Mai visto un posto brutto come Delfi, se non ci fosse questo stramaledetto Oracolo, il mio esercito avrebbe già ridotto in pianura questa dannata montagna. Alzo lo sguardo, ancora tre versanti. Arrivo stremato alla porta d’accesso. Vorrei cadere a terra, ma un Re che si rispetti non può mai mostrarsi in ginocchio. Apro la porta, lentamente, come se dovessi aprire i cancelli dell’Ade. Una coltre di fumo esce dall’edificio. Cerco di vedere oltre il fumo, ma non ci riesco. Faccio un passo avanti, poi due, poi tre, poi la porta mi si chiude alle spalle. Il fumo inizia a diventare meno denso, scorgo le pareti, ornate da pitture vascolari. Sono ritratti così tanti serpenti, che mi sembra quasi di sentire il loro sibilo, di toccare le loro scaglie. “Ti ssssstavamo asssspettando, re di Tebe” “Abbiamo sssssentito ssssubito il tuo odore!”
“Chi va là?” urlo estraendo la spada.
Una sagoma appare da in fondo alla stanza, si fa sempre più vicina. Inizio a vederla bene, porta un lungo vestito rosso, lunghi capelli neri le arrivano fino alle caviglie. Eccola, sarà a tre metri da me! Non ho mai visto una donna così bella in tutta la mia vita! Si ferma a un passo da me.
“Cosa vogliono ancora da me, i figli di Cadmo?”
Dapprima mi immobilizzo, poi rispondo: “ Volevo solo incontrarti, o Pitonessa”
“INCONTRARCI!” tuonano delle voci nella nebbia.
“L’incontro è concluso allora” la donna si gira e incomincia a camminare. Nessuno può trattare così un re! E’ inaudito! Il sangue mi ribolle nelle vene. Le appoggio una mano sulla spalla per farla voltare, ma quando si volta una lunga lingua biforcuta esce dalla sua bocca e si muove sul mio viso. La nebbia svanisce e finalmente si svelano gli interlocutori nascosti: migliaia di serpenti!
“Nessssuno è degno di toccare il ssssacro Oracolo, nemmeno tu Re di Tebe!”
“S-Si, ha-hai ragione, Pe-Pe-Perdonami!”
Faccio uno scatto indietro, striscio sul pavimento verso la porta, ma ora lei mi sbarra il passaggio.
“La sssso la tua domanda, e sssso anche la risssspossssta! Invece di maledire gli dei perché non hai figli, rallegrati! Perché tuo figlio ssssarà la tua rovina!”
Mi fiondo verso la porta, la apro, vedo il sole, le nuvole, le montagne, ma quando mi volto non vedo più il Santuario.

PIETRO RASARIO: ORFEO E EURIDICE ANNI 2000

Atene, 2016 d.C.

O Muse dimenticate, ispirate ancora il mio canto che narrerà della triste storia del giovane Orfeo.

Orfeo era un giovane appassionato di musica; cantava in una band la quale proponeva brani un po’ singolari… infatti riguardavano i miti antiche e in generale l’epica greca. Il ragazzo aveva un fidanzata, Euridice; tuttavia quest’ultima era intenzionata a lasciarlo perchè era troppo legato alla musica e spesso non le dedicava le dovute attenzioni. Bastava infatti leggere le loro chat in cui litigavano con insulti. Anche quando si incontravano la situazione non migliorava. Orfeo però amava davvero Euridice tanto che si metteva a scrivere canzoni dedicate a lei e aveva inciso addirittura un CD per colpire nel cuore al sua amata. Anche in camera sua, sulla scrivania, c’erano parecchi fogli con canzoni, testi e poesie dedicati a Euridice.

La situazione però rimaneva in bilico, così la ragazza decise di rompere il fidanzamento scrivendo in chat: “Incontriamoci dove sai tu”, intendendo un prato dove spesso si incontravano nei momenti felici. Orfeo, arrivato sul posto, alla notizia datagli dall’amata rimase sconvolto, soprattutto perché mai avrebbe pensato che proprio la sua dolce musica avrebbe infangato il loro amore.

Orfeo, triste e sconvolto, continuava comunque a cantare e a nominare il nome di Euridice, percorrendo come un folle le strade della sua città: voleva assolutamente riconquistare la ragazza… la amava troppo.

Dopo un mese di disperazione e di vagabondaggio, Orfeo decise di rivedere l’amata per convincerla a ritornare insieme.

Euridice nel frattempo era venuta a sapere da alcune sue amiche della follia di Orfeo; anzi queste ragazze avevano pure cercato di sedurlo, ma sempre egli rispondeva: ”Oh, Euridice, amore mio…”

Nel rincontrare Orfeo, la fanciulla accettò quindi di nuovo il suo amore a patto che l’accompagnasse fino a casa senza mai parlarle né cantare. Il giovane cantore tuttavia non riuscì a resistere e, quasi sull’uscio di casa, intonò un canto d’amore per lei; così Euridice se ne andò per sempre.

A Orfeo, folle e disperato, non rimase altro che la sua musica fino alla fine dei suoi giorni.

GIULIA ROSA: ARIANNA E TESEO

Morto Asterione, re di Creta, Minosse, mio padre, salì sul trono. Per dimostrare ai due fratelli il suo diritto alla successione, pregò Poseidone, dio del mare, di inviargli un toro da sacrificare. Egli, però, anziché sacrificarlo, lo mise tra le sue mandrie. Per vendicarsi, Poseidone fece innamorare del toro Parsifae mia madre. Dalla loro unione nacque il Minotauro, dal corpo umano e dalla testa taurina. Per nasconderlo mio padre incaricò l’architetto Dedalo di costruire un labirinto dal quale era impossibile uscire.

Per saziare il Minotauro, Minosse costrinse la città di Atene, allora sottomessa a Creta, di inviare ogni 9 anni 7 fanciulli e 7 fanciulle.
Fu in un anno come tanti altri che si unì al gruppo Teseo, figlio di Egeo re di Atene.

Come sempre li scrutavo attentamente i fanciulli offerti in sacrificio al Minotauro, ed immaginavo la loro morte straziante. Eppure, nel guardare Teseo, non riuscivo ad immaginarlo morire: lui trasmetteva così tanta vita e più lo guardavo, più iniziavo inconsciamente ad innamorarmene. Mi tormentavo in continuazione, cercando di capire se fosse stato corretto fornire lui l’arma vincente. Il mio cuore l’avrebbe voluto, l’avrebbe desiderato più di qualsiasi altra cosa al mondo, ma il mio volere non avrebbe mai potuto diventare realtà ,in quanto, quest’ultima era crudele e spietata e io sarei stata fortemente punita. Però, la sera prima del sacrificio non resistetti e andai ad incontrare Teseo. Lui era bellissimo,dolce,gentile e le sue parole mi incantavano. Parlando capii che dovevo salvarlo in qualche modo e così gli dissi che l’avrei aiutato, donandogli un gomitolo di filo e non chiedendo niente in cambio. Lui invece mi disse che mi avrebbe portato via, lontano, con lui, appena non avrebbe vinto.  Così accadde: il mio amato Teseo entrò nel labirinto, affrontò il Minotauro e lo uccise.

Partimmo all’alba del giorno seguente. Era tutto perfetto, tutto così bello che stentavo a credere fosse reale. Così passarono i giorni finchè non attraccammo a Nasso per rifornirci di  acqua e di cibo. Teseo mi accompagnò a riva e mi chiese di aspettarlo, ma io stremata, caddi nel sonno. In quel momento Teseo mi stava abbandonando, stava abbandonando colei a cui aveva promesso felicità, gioia e una vita insieme.

Quando mi risvegliai cercai per giorni Teseo, in lungo e in largo, senza trovarne traccia e così capii. Non sapevo dove andare e rimasi sulla spiaggia. Ora sono qui, sola, impaurita, tradita e ingannata e allora mi chiedo se davvero abbia senso andare avanti, per morire di fame e di sete. Credo che non ci sia più niente in cui sperare se non che nella morte, la quale verrà a prendermi presto.

ANNA LAURA CAVAGNINO: AGAMENNONE, CLITENNESTRA E ORESTE

 

Agamennone, eroe greco, sposò Clitennestra figlia di Tindareo liberandola dai maltrattamenti del suo malvagio marito Tantalo che fu da lui ucciso.
Clitennestra generò ad Agamennone un figlio, Oreste, e tre figlie: Ifigenia (chiamata anche Ifianassa), Elettra e Crisotemi.
Quando scoppiò la guerra contro Troia per il rapimento di Elena, una grande flotta greca si raccolse nel porto di Aulide e Agamennone fu nominato capo della spedizione.
Tuttavia la dea Artemide impedì con dei venti contrari che la flotta partisse poiché Agamennone aveva ucciso inavvertitamente una cerva a lei consacrata. Per calmare la dea egli finse di sacrificare la figlia Ifigenìa, sostituendola nel momento del sacrificio con una cerva.
Placati così i venti la flotta poté partire ed approdare a Tenedo, vicino a Troia. Clitennestra venne a sapere della sostituzione di sua figlia con una cerva e questo le fece provare un amore ancora più grande nei confronti di Agamennone.
Dopo che Agamennone fu partito, Egisto, avversario di Agamennone, si recò da essa, con ricchi doni tra le mani e l’odio contro suo marito in cuore. Clitennestra fin da subito rifiutò le sue proposte perché verso Agamennone provava un amore eterno. Ma Egisto non si arrese e continuò a insistere in modo pressante, ma Agamennone informato della visita, ordinò all’aedo di corte di sorvegliare attentamente la regina e di comunicarle per iscritto ogni minimo sospetto sulla fedeltà di lei. Clitennestra, avvisata dall’aedo, rifiutò del tutto Egisto. Clitennestra cospirò dunque con Agamennone per uccidere Egisto, attraverso l’aiuto dell’aedo. Clitennestra ingannò però Egisto, dicendogli che quando sarebbe arrivato Agamennone lo avrebbero avvelenato durate la cena. Clitennestra accolse il marito, stanco per il lungo viaggio, con manifestazioni di gioia, e lo guidò verso la stanza da pranzo. Clitennestra d’accordo con Agamennone mise però il veleno nel bicchiere di Egisto il quale bevve e dopo pochi minuti morì. Agamennone però durante i suoi viaggi aveva conosciuto Cassandra, del quale ne era perdutamente innamorato, così mise del veleno anche nel bicchiere della moglie che morì anche lei dopo pochi istanti.
Quando Egisto e Clitennestra furono uccisi, la figlia Elettra, preoccupata della pazzia del padre, portò il fratello Oreste in Focide, presso il re Strofio, vecchio amico e cognato di Agamennone, che lo allevò insieme al proprio figlio Pilade.
I due divennero amici inseparabili e furono compagni nei terribili eventi che seguirono. Oreste, ormai adulto, chiese all’oracolo di Delfi cosa dovesse fare per vendicare la morte della madre. L’oracolo gli ordinò di uccidere il padre e la sua amante Cassandra; gli raccomandò inoltre di versare libagioni sulla tomba di Clitennestra e di deporvi una ciocca dei suoi capelli. In segreto Oreste si recò con Pilade a Micene, visitò la tomba di Clitennestra dove consacrò un ricciolo dei suoi capelli. Contemporaneamente anche Elettra giunse alla tomba, versò libagioni e riconobbe i capelli del fratello, che si era rifugiato in un vicino boschetto. Oreste uscì dal suo nascondiglio e si fece riconoscere dalla sorella Elettra.
Poi egli ordinò a Elettra di ritornare al palazzo e di non dire nulla ad Agamennone del loro incontro; egli e Pilade l’avrebbero seguita dopo qualche ora, chiedendo ospitalità ai cancelli come stranieri e supplici. Oreste dunque bussò alla porta del palazzo e chiese del padrone o della padrona di quella casa. Agamennone in persona gli andò incontro, ma non riconobbe in lui il figlio. Egli si fece passare per un viaggiatore, che veniva dalla Focide e andava ad Argo, al quale Strofio aveva dato l’incarico di annunciare la morte di Oreste e chiedere se le sue ceneri, chiuse in un’urna di bronzo, dovevano essere trasportate a Micene o rimanere a Crisa.
Agamennone accolse Oreste nel palazzo e mandò la vecchia nutrice di Oreste, Gilissa, a chiamare Cassandra che si trovava in un vicino tempio. Egisto entrò nel palazzo dove era giunto Pilade con un’urna di bronzo. Egli disse ad Agamennone che quell’urna conteneva le ceneri di Oreste. Ciò valse a rassicurare Cassandra: Oreste allora, senza difficoltà, potè estrarre la spada e trafiggerla. Agamennone allora riconobbe il figlio e lo supplicò di risparmiarlo; Oreste lo decapitò e il re cadde accanto al cadavere della sua amante. I Micenei non permisero che i corpi di Agamennone e di Cassandra riposassero nella città, ma li seppellirono a una certa distanza oltre le mura.
Perseguitato dalle Erinni, le dee vendicatrici, Oreste vagò a lungo, senza trovare né pace né asilo.
Consultato l’oracolo di Delfi, dalla Pizia seppe come liberarsi dalla persecuzione: doveva recarsi nella Tauride, rapire il simulacro di Artemide, posseduto dal re Toante, e custodito in un tempio.
Oreste, tentò l’impresa con l’aiuto di Pilade, ma fu scoperto e l’avrebbero sicuramente ucciso se la sorella Ifigenia, sacerdotessa del tempio, non l’avesse riconosciuto e salvato, fuggendo con lui e col simulacro.
In seguito Oreste sposò Ermione, figlia di Menelao e regnò in Arcadia.
Morì poco gloriosamente per il morso di un serpente.

DELVECCHIO: PERSEO E MEDUSA, RACCONTATO DA MEDUSA

Mi chiamo Medusa, sono figlia delle divinità marine Forco e Cheto, e ho due sorelle, le Gorgoni, che sono tutte e due immortali. Io, invece, sono l’unica mortale della famiglia. Un tempo ero una bellissima fanciulla, tutti si voltavano sempre a guardarmi quando passavo, fino a che non ho incontrato Poseidone, dio dei mari e fratello di Zeus. Mi ero innamorata di lui, e mi ero concessa in uno dei tempi dedicati alla dea Atena. Non l’avessi mai fatto! Per questo oltraggio Atena mi tramutò in un mostro orribile: i miei capelli diventarono dei serpenti, e il mio aspetto era così orribile che chiunque mi guardasse in faccia si trasformava in pietra. Ora tutti mi evitano: nessuno vuole avere a che fare con me! Sono costretta ad una vita solitaria. Tutto questo è successo solo per colpa di Atena! Sono estremamente infelice. L’unica consolazione che ho è che posso tramutare in pietra le persone che mi stanno antipatiche.
Era una bella giornata, stavo camminando per le vie di una città: quando ero ancora normale, adoravo vedere le bancarelle del mercato e parlare con la gente. Adesso lo posso fare solo con addosso un vestito che mi copre tutto il corpo, perfino il volto: è molto scomodo ma efficace. Stavo osservando gli oggetti in vendita quando sentì due uomini del re di quella zona, Polidette se non sbaglio, parlare di un certo Perseo e di una missione impossibile. Curiosa origliai la conversazione: a quanto sentì, il re Polidette aveva chiesto a tutti i presenti che contribuissero con un cavallo a testa come dono per il suo matrimonio. Soltanto che questo ragazzo, Perseo, che viveva con sua madre e con il suo padre adottivo nel palazzo de re, non poteva permettersi questo dono. Aveva quindi dichiarato che avrebbe portato al re qualsiasi cosa, anche la mia testa! È tutta colpa di Atena! Se non fosse stato per lei adesso nessuno mi tratterebbe più così, non hanno rispetto per me! tanto sono solo un mostro orribile che deve essere ucciso, e dire che io me ne sto sempre per i fatti miei e non ho mai infastidito nessuno! Ricacciai indietro le lacrime e me ne andai, non volevo più ascoltare.
Fortunatamente nessuno sapeva dove fosse la mia dimora, quindi Perseo non sarebbe riuscito nell’impresa: ci avrebbe messo anni solo a trovarmi, e se anche mi avesse trovato, sarebbe rimasto pietrificato dal mio sguardo. Nel caso remoto in cui riuscisse a tagliarmi la testa, non avrebbe vita facile: le mie sorelle si vendicherebbero uccidendolo, e anche senza corpo, il mio volto può ancora tramutare le persona in pietra! Un po’ più allegra di prima ritornai dalle mie sorelle e insieme ci addormentammo.
Durante la notte, sentì dei passi, prima deboli, e poi sempre più forti. Sentivo anche dei sussurri: “Non guardarla in faccia… osservala attraverso lo scudo… eccoti la scimitarra…”. Non feci in tempo ad aprire gli occhi che provai un dolore fortissimo, da farmi piangere. L’ultima cosa che ricordo fu il sangue che sgorgava dal mi collo e il sorriso di Perseo, riflesso nello scudo della dea Atena, soddisfatto di essere riuscito nell’impresa che tutti consideravano impossibile.