MARTA GIULINI, FRANCESCA VALZER E GRUPPO MISSIONARIO

Il giorno 22 dicembre una parte del gruppo missionario dell’oratorio di Borgosesia ha avuto l’opportunità di conoscere don Adriano, un missionario originario di Borgosesia, adesso Prelato di Sao Fèlix, in precedenza vescovo di Floresta.  Il gruppo missionario che abbiamo formato è un insieme di ragazzi tra i 14 e i 20 anni che hanno deciso di intrattenere dei contatti con i missionari della nostra diocesi in giro per il mondo; quando abbiamo saputo che don Adriano si trovava a Borgosesia, gli abbiamo chiesto subito di incontrarlo. Inoltre abbiamo avuto l’opportunità di fargli qualche domanda sulla sua missione e sulla sua vita in Brasile

 

Quando hai avuto la vocazione a diventare prete? Che cosa ti ha spinto a partire per il Brasile?

La mia famiglia mi ha sempre dato dei valori educativi, ad esempio la fede, poiché tutti hanno bisogno di una fede e il modello di Gesù mi ha portato a ciò. Con don Gregorio come prete della mia parrocchia, mi è venuta la vocazione ad entrare in seminario a 13 anni. Quando avevo 15 anni circa, vedendo che c’erano pochi preti in America Latina, decisi di poter essere d’aiuto, e così entrai in un seminario “speciale”, molto libero, che si basava sul nostro livello di responsabilità, che appunto ci “preparava” a partire per una missione. Nel seminario passavano molte persone di diversi continenti, tra cui alcuni dell’America Latina da cui imparai moltissimo. Feci inoltre esperienze “in strada”; in autunno difatti, se ti organizzavi, potevi lavorare, così ho fatto esperienze in campo agricolo. Quando ho terminato il seminario, sono stato coadiutore a Grignasco, e poi ho dovuto aspettare a partire a causa delle lotte interne in Brasile.

Sono partito per il nord-est del Brasile nel 1979, in una zona semi-desertica . Dopo qualche anno, ho capito che nel mondo della Chiesa non si può lavorare da soli, così ho formato un’equipe, un misto di persone straordinarie per gestire la comunità. Sono stati dieci anni fantastici.

Sei partito con qualche aspettativa?

In realtà no, poiché non avevo scelto dove andare, ma moralmente sapevo che dovevo partire per aiutare.

Per quanto riguarda la tua famiglia, come hanno reagito?

Mia mamma non l’ha presa bene, ha accettato l’idea più o meno dopo cinque anni quando è venuta a trovarmi e ha visto il lavoro che avevo fatto. Mio papà è stato molto orgoglioso, dicendo che partendo io è come se fosse partito anche lui. I miei fratelli erano un po’ i miei complici. Tutta la famiglia comunque mi è stata di grande aiuto nei momenti di difficoltà.

Ogni quanto torni a Borgosesia?

I primi quattro anni non sono mai tornato a casa, poi facevo tre anni là e tre mesi qua. Adesso invece posso tornare al massimo un mese ogni anno.

Cosa fa di preciso un missionario?

Un missionario deve essere una persona che deve entrare in una realtà non aspettandosi nulla ma deve aiutare, a qualsiasi costo. Inoltre deve amare profondamente Dio e i poveri.

Credi sempre in Dio? Ci sono stati momenti in cui ti sei posto quesiti sull’esistenza di Dio?

Credere è cercare continuamente, infatti credo che la fede sia come una scala in cui ogni gradino è una domanda. Ovviamente ci sono stati periodi in cui mi sono posto grandi quesiti, poiché è il grande dilemma umano: abbiamo troppa libertà di pensiero che rischiamo di perderci.

Come hanno cambiato i bambini il tuo rapporto con la fede? In Brasile esistono oratori come qui in Italia?

Non esistono oratori, ma ovviamente i bambini cambiano profondamente il rapporto con la fede, poiché ti porgono grandi quesiti su cui ragioni molto prima di arrivare a una risposta.

Quale è il tuo ricordo più bello? E quali sono state le difficoltà più grandi?

La cosa più bella è stata proprio il lavoro d’equipe; il rapporto che si era creato era qualcosa di speciale e molto apprezzato, difatti quando passavamo nei vari paesi le persone rimanevano meravigliate, dicendoci un motto molto antico per il nord est del Brasile: “ Dove uno fa il segno l’altro taglia”.

Una delle sfide è stata servire una diversità di culture e capire il lavoro migliore per ognuna. Altre difficoltà ad esempio sono le questioni politiche interne del Brasile e per me è difficile comprendere ciò.

E per la religione?

Un documento del 1990 ha cercato di indebolire la nostra Chiesa, e adesso è diventata un commercio. Il vescovo precedente del Brasile usava dire per descrivere la nostra situazione “Noi siamo soldati sconfitti di una causa invincibile”

Hai mai rischiato la vita?

Beh sì, anche solo questi viaggi di un centinaio di km per raggiungere i vari comuni della comunità di cui sono responsabile sono rischiosi. Ci sono stati momenti in cui ho ricevuto minacce di morte ad esempio dai coroneis (i ribelli politici del nord est del Brasile), ma essendo in gruppo non ci pensavo molto, poiché ero sempre protetto.

Quando sei arrivato hai avuto difficoltà ad essere accolto?

Non molto, diciamo che i nordestini sono un popolo molto religioso e quindi mi hanno accolto da subito

 

Ringraziamo don Adriano per questa preziosa testimonianza.