LORIS TERRAFINO

“Era una notte buia dello stato Italiano, la notte del 9 maggio del ’78, la notte di via Caetani, del corpo di Aldo Moro, all’alba dei funerali di uno Stato“.

Così recitano le parole della canzone “I Cento Passi” di un gruppo musicale che forse non tutti conoscono, i “Modena City Ramblers”.

Una data importante per lo Stato Italiano, segnata da una pagina di cronaca nera, da avvenimenti bagnati dal sangue.

In quella mattina di quarant’anni fa vengono ritrovati due corpi, a più di 900 kilometri di distanza: quello di Aldo Moro a Roma, e quello di Peppino (Giuseppe) Impastato a Cinisi.

Nel caso di Moro non è mai stata fatta giustizia, mai sono stati condannati i mandanti

In quello di Impastato, invece sì: dopo anni di lotte da parte di suo fratello, dei suoi amici e di sua madre Felicia, Gaetano “Tano” Badalamenti è stato incriminato e condannato come mandante dell’omicidio.

In queste mie poche righe voglio provare a parlarvi, a riassumervi, la vita di Peppino Impastato e a spiegarvi perché io credo che sia giusto ricordarlo.

Giuseppe Impastato, meglio conosciuto come “Peppino”, nasce il 5 gennaio 1948 a Cinisi, nell’entroterra Siciliano, in una famiglia collusa con la mafia.

 

 

Legatissimo a suo zio, il capomafia “Cesare Manzella”, rimane profondamente traumatizzato quando viene ucciso in un attentato e matura una decisone: vuole combattere la mafia.

Spesso in lotta con il padre, termina gli studi e inizia una carriera giornalistica fondando il giornale “L’Idea Socialista”.

Successivamente fonda una radio “Radio Aut” e diventa famoso per i suoi monologhi nei quali denuncia tutte le malefatte, la corruzione e gli imbrogli che la mafia gestisce nel suo paese.

Dopo la morte di suo padre, investito da un automobilista di cui tutt’ora non si conosce l’identità, è in grave pericolo: infatti non c’è più nessuno che possa proteggerlo.

Decide di candidarsi alle elezioni ma viene barbaramente ucciso.

Il suo corpo martoriato viene imbottito di tritolo e posto sulle ferrovie per inscenare un attentato e distruggere la sua immagine.

I suoi cittadini, non credendo a tutto ciò che viene affermato dalla stampa, lo votano comunque, eleggendolo simbolicamente.

Solo nel 2002 la Corte ha riconosciuto “Gaetano Badalamenti” come mandante, condannandolo all’ergastolo.

Una vita breve quella di Peppino, molto breve.

Tanto breve da morire a 30 anni.               Morire così giovani solo per aver combattuto per i propri ideali, per aver sognato un mondo migliore, per aver denunciato tutto il marcio che c’era all’interno della mafia e delle istituzioni che ci collaboravano.

In particolare fece molto scalpore una sua celebre frase provocatoria “La mafia è una montagna di merda!”

Molti pensano che sia stato ucciso nella stessa notte di Aldo Moro affinché il ritrovamento del suo corpo non facesse molto scalpore. Certamente i capi mafiosi lo temevano. Avevano paura che la gente si ribellasse, avevano paura che la gente lo ascoltasse, avevano paura che la gente denunciasse, avevano paura che tutto cambiasse.

In questo caso Peppino aveva colpito nel segno, aveva dato una “scossa”, aveva lanciato un messaggio. Da allora ha cominciato ad infrangersi il muro di omertà che proteggeva i malavitosi, le denunce e le ribellioni al loro strapotere si sono moltiplicate, la società civile di Cinisi e della Sicilia tutta ha cominciato a scuotersi dal torpore.

Peppino ha fatto tutto questo, Peppino non è morto inutilmente.