MARCO TOSSERI

Tre parole che considero “chiave” per parlare di “Ogni mattina a Jenin”, poiché sono sempre presenti nel libro e quindi anche nella mia recensione: Famiglia, Radici, Emozioni. Non è necessario che io le spieghi ora, si spiegheranno da sole.

In questo romanzo ci viene raccontata la storia di quattro generazioni di una famiglia palestinese, la famiglia Abulehja, attraverso la quale ripercorriamo la storia del conflitto arabo-israeliano; per questo motivo il libro può essere considerato un romanzo storico della contemporaneità.

Nel 1941 la guerra tra Israele e Palestina inizia a sconvolgere intere popolazioni. In quel periodo  a Ain Hod, un paesino a est di Haifa,  Hassan, figlio del patriarca della famiglia,  sposa Dalia; dall’unione nascono  prima Yussef e poi Isma’il.  Nel 1948 le famiglie di Ain Hod  sono costrette a lasciare la propria terra e trasferirsi al campo profughi di Jenin. E’ in quel luogo e soprattutto in quell’atmosfera carica di speranza, rabbia, amore, unione, disperazione che nasce Amal, la terza figlia di Hassan e Dalia, nel 1955. E Amal, che  in arabo, con la vocale lunga, significa anche speranza, cresce provando tutte quelle emozioni, le rende parte di sé. Attraverso la sua voce, quella dei suoi  due fratelli, e quella onnisciente del narratore esterno ripercorriamo l’incredibile storia della  vita sua e  della sua famiglia : Dalia, sua madre; Hassan, suo padre; Yussef, uno dei due fratelli; Fatima, compagna di Yussef; Isma’il, l’altro fratello; Maijid, uno dei due amori  della sua vita; sua figlia Sara, l’altro amore  e  anche Huda, la sua amica di infanzia, l’unica vera amica che abbia mai avuto.

Con il padre, Amal   ha un rapporto speciale, magico e unico: ogni mattina all’alba  lei si siede sulle  sue ginocchia e ascolta con meraviglia, anche se non ne comprende il significato, le poesie che lui le legge : è l’unico momento in cui sono soltanto loro due, le poesie e l’alba; si crea così un rapporto incredibile  tra  un padre e una figlia, in cui si sprigiona un amore illimitato,che nemmeno il dolore dell’esilio e della guerra può spezzare. Dalia, la madre,  è una beduina ribelle, una donna forte all’esterno, ma così fragile dentro di sé  da infrangersi per sempre. Lei è senza dubbio il personaggio più enigmatico dell’intero romanzo: la guerra le ha letteralmente portato via un figlio e fatto provare dolori troppo grandi  tali che un animo fragile come il suo non riesce a sopportare; da allora  vive in un mondo tutto suo, non comunica con il mondo esterno quasi mai. Tenendo dentro di sé tutto il dolore, diventa, soprattutto con la figlia Amal, fredda come un iceberg, riducendosi a vivere quasi come un vegetale. E’ impossibile capirla fino in fondo, e Amal da bambina è quella che più ne soffre, perchè fatica a comprendere sua madre nello stato mentale in cui si trova e prova rabbia nei suoi confronti. Nei primi anni di vita di Amal, tuttavia, le due fanno insieme uno dei mestieri più belli al mondo: fanno nascere bambini nel campo profughi. Forse questo è il periodo più felice che le due vivono insieme, tant’è che, quando Amal farà nascere il piccolo nipote Falastin, ricorderà quei momenti vissuti con la madre. E forse è proprio Amal che riuscirà a comprendere al meglio sua madre:  parlando con suo fratello dirà riguardo alla donna: “Amava oltre misura. Quando ero giovane pensavo che fosse fredda, ma con il tempo ho capito che era troppo fragile per il mondo in cui era nata. Perse qualcosa di fondamentale quel giorno del 1967 in cui pensò che fossi rimasta uccisa  nell’esplosione che devastò la cucina, mentre ero acquattata in una buca con la mia amica Huda e la cuginetta Aisha. Credo che fu la goccia che fece traboccare il vaso. Nel corso degli anni mi sono chiesta spesso e con un enorme senso di colpa se avrei potuto salvarla.”

Con suo fratello Yussef, a Beirut, trascorrerà il troppo breve  periodo più felice della sua vita. Sarà suo fratello a trovarla, mentre lei è in America,  e portarla da lui a Beirut. Egli è il fratello più sofferto: è quello che se ne va a combattere per l’Olp(Organizzazione per la liberazione della Palestina)  quando Amal è ancora bambina, lasciandola e affidando  a lei le cure della madre. Ma è anche quello a cui è più legata affettivamente, poiché infatti, quando è nata,  non ha conosciuto l’altro fratello.  E’ grazie a lui se Amal smette di essere la fredda Amy per un po’ e torna a essere la vera Amal di sempre; è  grazie al suo invito di raggiungerlo a Beirut se lì Amal trova l’amore della sua vita: Majid , l’uomo che la rende davvero felice, con cui prova l’amore vero. Fatima, la moglie di Yussef, è fondamentale per Amal, perchè è lei che fa innamorare i due. E’ lei forse che  con un suo discorso  riesce meglio a esprimere ciò che è amore per i Palestinesi  : “Amal, credo che la maggior parte degli americani non ami come amiamo noi. Non è questione di inferiorità o di superiorità. Vivono in sfere sicure e superficiali, e raramente spingono le emozioni umane nelle profondità in cui viviamo noi. Vedo che sei confusa. Pensa alla paura. Quella che per noi è semplice paura per altri è terrore, perché ormai siamo anestetizzati dai fucili che abbiamo continuamente puntati contro. La nostra rabbia è un furore che gli occidentali non possono capire. La nostra tristezza può far piangere le pietre. E’ un amore che puoi conoscere solo se hai provato la fame atroce che di notte ti rode il corpo. Un amore che puoi conoscere solo dopo che la vita ti ha salvato da una pioggia di bombe o dai proiettili che volevano attraversarti il corpo”.  Anche l’altro fratello, Isma’il , la fa viaggiare: la induce a  tornare alla sua terra, alle sue radici , a casa sua. Grazie a lui Amal torna  con sua figlia e con lui a Jenin, riattraversa le vie che percorreva da bambina e rincontra  Huda, la sua migliore amica. Le due  hanno trascorso tutta l’infanzia sempre insieme, in ogni situazione( la buca sotto il pavimento della cucina,  quando si separano e Amal va a Gerusalemme, quando Amal torna  Jenin molti anni dopo); mano nella mano hanno affrontato non solo  la gioia del gioco ma anche la tristezza e il dolore della guerra.

E Amal? E’ il personaggio a cui  ci si affeziona di più poiché è la sua voce che ci  accompagna, a più riprese, in tutta la narrazione; sono le sue le emozioni più forti che leggiamo, addirittura le sue emozioni sono così vere che il lettore le prova dentro sè: turbamento, amore, orrore, rabbia e tutto il turbinio incredibile di sentimenti che le attraversano la vita  e nei quali il lettore si immedesima.  Amal è il personaggio più dinamico di tutti: lei prova emozioni talmente forti che la cambiano in meglio e purtroppo, a volte, anche in peggio: la sua vita è un continuo viaggio interiore, ma purtroppo è anche un continuo viaggio da una terra a un’altra: vive da profuga, si sposta da Jenin a Gerusalemme, da lì negli Stati Uniti, a Beirut e poi ancora negli Stati Uniti; passa dal periodo più felice della sua vita a quello più brutto nell’intervallo di circa un mese soltanto. E’ una donna forte, ma non indistruttibile: è distrutta dal dolore di molte perdite, a tal punto  che anche la nascita di una nuova vita, per molto tempo, non le strappa un sorriso, ma la spinge a tenere tutto dentro: diventa una fotocopia di sua madre.  Ciononostante, anche se il mondo che ama le crolla adosso prima ancora che lei riesca a rendersene conto, la forza dell’amore vince ancora una volta e lei trova uno spiraglio di luce in fondo al tunnel buio che aveva davanti a sè, trova un nuovo motivo per andare avanti: sua figlia Sara, che fa tornare alla madre la  voglia di vivere, ma soprattutto la convince a tornare alle sue radici, alla sua terra e la costringe a raccontarle tutta la sua vita, ad aprirsi con lei dopo anni di chiusura totale, acquisendo così un eredità importantissima: la storia della vita di sua madre.

La struttura narrativa del romanzo è interessante, data la presenza di quattro narratori, di cui tre interni, che cambiando sovente rendono la lettura molto più avvincente e mai scontata. Tutto questo senza nulla togliere al narratore esterno che, assumendo il punto di vista di ogni personaggio, riesce senza alcuna fatica a essere perfettamente soggettivo pur scrivendo alla 3^ persona singolare.  Dopo un brillante preludio iniziale  in medias res, avviene un flashback che ci porta all’inizio della storia parlandoci di Yehya, patriarca della famiglia Abulehja.

Questo libro è senza dubbio un inno alla Vita, prima ancora che all’Amore. Capisci che la vita è un bene prezioso e lo percepisci non soltanto dalla presenza assidua della morte tra le pagine di questo libro, ma poiché riesci veramente e  fino in fondo a vivere la complessità e la bellezza di quello che si chiama essere un uomo. E’ nei frangenti terribili della guerra che l’essere umano potrà sempre sopravvivere, poiché è capace di provare  emozioni e sentimenti in maniera così profonda come nessun altro animale può farlo ed entrambi sono più forti della guerra. L’intento della narratrice è stato   molto probabilmente quello di fare appello all’uomo e alla sua umanità e di raccontare con un’altra voce la storia della Palestina. E fortunatamente c’è riuscita nel miglior modo possibile con le emozioni, sia quelle positive che quelle negative: esse sono la medicina che serve all’uomo quando è bloccato, innescano una miccia che lo fa ritornare a vivere, sono una continua fonte di arricchimento per l’anima , sono l’unica vera cosa che dovrebbe rendere fiero l’essere umano di essere quello che è.

Io ho adorato questo libro, poiché è stato finora il primo che mi ha fatto provare emozioni tanto forti tutte insieme, mi ha fatto sentire parte della famiglia Abulehja , ho sentito i personaggi intorno a me, loro erano vivi e io ero con loro, mi ha fatto riflettere giorni e giorni sul significato della vita, della morte, della forza che gli uomini trovano anche  in situazioni così avverse. Mi ha fornito nuove riflessioni sul significato della guerra, mi ha mostrato quelli che sono i reali effetti della guerra sulle persone, su quanto le trasforma; mi ha fatto riflettere sul significato delle proprie radici e della propria terra;  mi ha fatto pensare a quanto oggi, troppo spesso, il significato delle proprie radici sia quasi dimenticato: la terra natia di un uomo è di un’ importanza colossale che solo le persone a cui essa è stata sottratta possono veramente cogliere.

Motivi senz’altro validi per consigliare caldamente a tutti la lettura di questo romanzo.