GIONA COLOMBO

Alcuni giorni fa mi è pervenuta la richiesta di esprimere un giudizio sul cambiamento avvenuto con il
passaggio dal liceo all’università. L’ho accolta volentieri.
Con l’esame di Stato 2017 si è chiuso il mio percorso al liceo classico, una scelta che ho sempre
rivendicato con fierezza e senza alcun rimpianto; certamente mi ha sottoposto a un lavoro estenuante, che
ho svolto perchè “sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini naturalmente
desiderano di sapere”, ma ne ho tratto effetti di abbondante arricchimento intellettuale e spirituale.
Dal momento che poi la mia vera passione consisteva ( e consiste tuttora) nello studio della filologia e
delle nostre due lingue classiche, mi sono iscritto al corso di Laurea in Lettere, curriculum Antico. Il salto
c’è stato e si è fatto sentire soprattutto nel corso dei primi mesi, in cui la scansione abituale della giornata,
quindi anche della settimana, cambia radicalmente. Mutano l’ambiente, le conoscenze e la città nel modo
più visibile, ma anche lo stesso rapporto con gli insegnanti si diversifica, divenendo molto più distaccato e
anonimo, poiché i vari corsi da frequentare durano il tempo di pochi mesi e il numero di studenti sale
vertiginosamente rispetto a quello di una consueta aula di scuola superiore. In effetti questo è stato
l’aspetto cui ho più faticato ad abituarmi.
Ultima, ma non meno importante, è la diversità con la quale si affronta lo studio per la preparazione di
ogni esame. Io ho subito messo in pratica un antico consiglio fornitomi durante il primo anno di liceo:
non perdere mai il controllo della mole del materiale da “ingurgitare”, mi si conceda l’espressione, ma
applicarsi con costanza, approntando, se è possibile, ogni lezione volta per volta, evitando tassativamente
la cosiddetta “full immersion” degli ultimi tre giorni. A qualcuno potrebbe parere eccessivo, ma consente
una grande tenuta d’insieme sugli argomenti. Certamente è un sacrificio, ma i sacrifici sono giusti se
hanno un perchè, in questo caso un rendimento alto che inciderà sulle future possibilità lavorative. Del
resto anche gli atleti, per vincere, non dico le Olimpiadi, ma qualsiasi competizione abbastanza
importante, si sottopongono a un rigido allenamento, che inevitabilmente comporta alcune rinunce.