MARCO TOSSERI
E’ curioso il fatto che la lettura di questa biografia di Luigi Viva,“Non per un dio ma nemmeno per gioco. Vita di Fabrizio De André”, nasca da una mia esigenza e da una mia mancanza, a cui ho voluto e dovuto porre rimedio. Quest’esigenza si è resa ancor più forte dopo la visione del film biografico a lui dedicato “Fabrizio De André – Principe Libero”, trasmesso su Rai 1 a gennaio dello scorso anno. Il risultato della visione, senza alcun dubbio, è stato estremamente deludente: a primo impatto pensai che fosse colpa mia, perché, innamorato da sempre del suo lavoro, credevo di averne creato un’immagine idealizzata, senza macchia. Ma poi, riflettendo, ho capito: nella scelta registica e di sceneggiatura, per esigenze di narrativa, per catturare audience, o chissà quale altro motivo, ogni aspetto negativo della vita dell’artista è stato accentuato: ne esce sostanzialmente un uomo dal carattere odioso, insensibile, ubriacone e che vive quasi esclusivamente nei bordelli. Buona parte del film, infatti, è concentrata soltanto sugli anni giovanili di Faber, e gli ultimi di vita dell’artista: quelli della maturità, soprattutto artistica e musicale, vengono liquidati e omessi.
È questo il modo giusto per rendere davvero omaggio a uno dei più grandi poeti italiani del secondo Novecento? Non è un caso, mi sono detto, che il figlio Cristiano, abbia preso le distanze da questa pellicola. Ed ecco che la lettura di“Non per un dio ma nemmeno per gioco. Vita di Fabrizio De André” conferma le mie teorie. Questa biografia, il cui progetto Fabrizio stesso ha approvato, a cui ha partecipato e di cui ha potuto leggere alcune pagine in bozza, ci restituisce senza alcun intento romanzesco la figura più vera e genuina di Fabrizio De André. L’infanzia, durante la guerra, a Revignano d’Asti; l’adolescenza e la giovinezza a Genova; i primi tentativi musicali in vari gruppi; i primi successi in 45 giri, i primi LP, la prima volta su un palco dopo più di dieci anni di “latitanza” dal pubblico; la Sardegna, le tournée, la popolarità, il rapimento, gli ultimi dischi, successo enorme di critica e di pubblico (Crêuza de mä, Le Nuvole, Anime Salve), che segnano la completa maturità artistica e intellettuale di Fabrizio, l’ultimo tour e la morte. Il libro è strutturato attraverso lunghi discorsi diretti di registrazioni di telefonate e interviste fatte a Fabrizio e a moltissime delle persone che sono entrate a far parte della sua vita. Il risultato? Emerge un individuo dalla complessa personalità, dotato di una grande empatia, un amico vero, che sa ascoltare e osservare gli altri e il mondo. Un profondo conoscitore dell’animo umano. Certo, anche nel libro vengono presentati aspetti negativi: sarebbe un errore privo di senso tralasciarli, ma non siamo più davanti a un’ esagerazione romanzata. Chi, infatti, non commette errori, anche gravi, nella propria esistenza? Non sarebbe stato umano altrimenti. Non c’è bisogno di un romanzo: l’eredità di ciò che ci ha lasciato è sufficiente. Non mi dilungo ulteriormente a esprimere le positive e benefiche emozioni che questo libro mi ha lasciato ( scriverei diverse pagine senza arrivare alla conclusione); piuttosto lascio che il lettore viva questo libro in base a quanto egli conosca l’artista e voglia conoscere l’uomo dietro l’artista. Qui troverete l’entroterra culturale e la vita vissuta dall’uomo che ci ha descritto un’umanità costretta a vivere un “Destino Ridicolo” (titolo del suo unico romanzo), che può essere raccontata da chi è in grado di “Saper leggere il libro del mondo con parole cangianti e nessuna scrittura”, abilità purtroppo riservata a pochi.