FILIPPO MARLETTA
È questa la frase che ho recentemente scritto su un cartello di protesta, e che ho mostrato con orgoglio durante le lezioni a distanza. Vedete, io non nego affatto che le proteste siano più care a me che ad altri, ma essere costretti a sventolare un cartello dietro a una videocamera perché non si è neanche più liberi di scendere in piazza a manifestare è un vero scempio, uno scempio dei nostri diritti. Come molti di noi, però, anch’io mi sono dovuto adattare ai tempi recenti e non ho trovato alternative a questo misero metodo per diffondere le mie idee. Immediatamente ho ottenuto reazioni, d’altronde era il mio obiettivo, ma non esattamente quelle che mi aspettavo: alcuni mi hanno dato ragione, altri non hanno commentato. Ora signori, dire che la D.A.D. è scuola è, dal mio punto di vista, una bugia colossale. La didattica a distanza è una forma di istruzione, questo non lo nego: certamente non tra le migliori, ma è tutto ciò che ci è stato concesso. Ma una scuola, cari lettori, non si limita affatto a essere un luogo di apprendimento, è anche un luogo di socializzazione. E adesso già mi aspetto i commenti degli arcigni moralisti: “Ah, questi giovani, con tutto quello che sta succedendo pensano solo a tornare a fare quattro chiacchiere tra di loro!”. Se qualcuno ha pensato questo, mi auguro di no (ma credo di si), sappia che la scuola non è un luogo di socializzazione perché ci si incontra tra amici, amiche e fidanzati, ma perché permette di affrontare alcune situazioni sociali la cui esperienza ècruciale per affacciarsi alla vita da adulti. Un esempio? So che molti studenti hanno tirato un sospiro di sollievo perché la D.A.D ha garantito interrogazioni meno stressanti, verifiche meno spaventose… Ma questo non è un bene. Come potrà un individuo reggere la pressione di un colloquio di lavoro, se non si è abituato a sopportare lo stress di un’interrogazione? Come potrà un persona superare l’ansia e la paura di un concorso lavorativo, se non ha mai sostenuto una verifica scolastica? Come si relazionerà con i propri colleghi, se non ha potuto imparare le chiavi della coesione sociale con i propri compagni di classe? Signori, sarò chiaro con voi: se questa D.A.D. va ancora avanti, tra dieci anni avremo una massa di nuovi lavoratori forse intellettualmente preparati, ma incapaci di sopportare la pressione e la fatica, lesionati anziché aiutati dai rapporti sociali, depressi anziché competitivi. E questo riguarda tutti gli strati della società: poliziotti incompetenti, dottori incompetenti, insegnanti incompetenti, politici incompetenti (Oh, che novità!). C’è una bella commedia adolescenziale che potrei utilizzare come esempio: l’avete mai visto “Mean Girls”? E’ la storia di una ragazza educata tramite la scuola a distanza, che quando si trova ad andare ad un liceo vero non sa più da che parte girarsi e si perde dietro alle cose più futili. Fa ridere, vero? Fa ridere sicuramente, finchè quella ragazza non diventa il tuo cardiologo e ti sbaglia l’intervento, il tuo promotore finanziario e ti sbaglia gli investimenti, il tuo commercialista e ti sbaglia la dichiarazione dei redditi. Bisogna fermare questo fenomeno adesso. Bisogna protestare adesso. Altrimenti questa “soluzione d’emergenza” diventerà la norma, e vi ritroverete tra vent’anni svegli la notte a pensare: “Sai che c’è? Quel tipo che scriveva sul giornalino non aveva torto, in fin dei conti”. Agli studenti che sostengono i benefici della DAD vorrei chiarire che quelli che loro chiamano “benefici” sono un male tremendo che contribuiranno a formare una generazione sempre più molle e fiacca. Ai professori che difendono la D.A.D. invece vorrei dire: era questo che sognavate da bambini? Parlare di fronte a uno schermo inespressivo? Non riuscire nemmeno a vedere i vostri alunni in faccia? Dover ripetere ogni trenta secondi “Ci siete? Mi sentite?” perché quest’orrenda forma di comunicazione video ci fa sembrare più vicini, ma in realtà ci rende più distanti? Un insegnante è molto di più di questo, un alunno è molto di più di questo: protestiamo, protestiamo! Prendiamoci il rischio di tornare a vivere una vita normale.