SILVIA ASTORI

Questo mese, come traccia di educazione civica, mi è stato proposto di scrivere un tema su come grandi uomini siano riusciti a cambiare l’approccio dell’intera società verso il fenomeno mafioso e  come questo fenomeno sia cambiato anche grazie a loro. Nello scrivere questo tema, ho iniziato a documentarmi e ho incontrato grandi eroi che hanno fatto parte della sfera giuridica, come Paolo Borsellino, Giovanni Falcone e Rocco Chinnici, ma ho anche ritrovato la storia di Padre Pino Puglisi. Della sua vicenda ero venuta già a conoscenza anni fa leggendo un bellissimo libro di D’Avenia “Ciò che Inferno non è” e vedendo il film Alla luce del sole in cui il protagonista è interpretato da Luca Zingaretti (consiglio entrambi!). Padre Puglisi era un prete che, vivendo il Vangelo nella sua radicalità, ha speso la sua vita, e purtroppo l’ha anche persa, per cercare di opporsi alla mafia.

Il 2 luglio del 1960 fu ordinato sacerdote dal cardinale Ernesto Ruffini e, dopo essere stato nominato cappellano e vicario in alcune parrocchie nel palermitano, cominciò a maturare la decisione di rivolgere la sua attività educativa e pastorale in particolare ai giovani. Il 1º ottobre del 1970 venne nominato parroco in un paesino della provincia palermitana che in quegli anni era interessato da una feroce lotta tra due famiglie mafiose. L’opera di evangelizzazione del prete riuscì a far riconciliare le due famiglie. Successivamente ricoprì diversi incarichi: pro-rettore del seminario minore di Palermo, direttore del Centro diocesano vocazioni, responsabile del Centro regionale Vocazioni e membro del Consiglio nazionale, docente di matematica e di religione presso varie scuole, animatore presso diverse realtà e movimenti tra i quali l’Azione Cattolica e la FUCI.

La svolta avvenne il 29 settembre del 1990 quando venne nominato parroco della chiesa di San Gaetano, nel quartiere Brancaccio di Palermo, controllato dalla criminalità organizzata attraverso i fratelli Graviano, capi-mafia legati alla famiglia del boss Leoluca Bagarella, e proprio qui cominciò la sua personale lotta contro la mafia.

Non tentò di portare sulla giusta via coloro che erano già entrati nel vortice della mafia, ma cercò di non farvi entrare i bambini che vivevano per strada e che consideravano i mafiosi degli idoli, delle persone da rispettare. Infatti, attraverso attività e giochi, faceva capire loro che si poteva ottenere rispetto dagli altri anche senza essere criminali, semplicemente per le proprie idee e i propri valori. La pastorale attuata da Don Pino sottraeva bambini e adolescenti al controllo dei boss e iniziava a mettere in crisi i consensi e la stessa sopravvivenza della mafia, abituata a costruire il proprio successo di denaro, sangue e morte proprio sulla possibilità di attingere continuamente nel malcontento giovanile la propria manovalanza. L’ ostilità dei boss, che lo consideravano un ostacolo, era destinata a crescere a tal punto che quando, il 29 gennaio 1993 inaugurò a Brancaccio il centro Padre Nostro per la promozione umana e l’ evangelizzazione, decisero di ucciderlo, dopo una lunga serie di minacce di morte di cui don Pino non parlò mai con nessuno.

Il 15 settembre, giorno del suo 56esimo compleanno, intorno alle 22.45 venne ucciso davanti al portone di casa sua in piazza Anita Garibaldi, nella zona est di Palermo. Sulla base delle ricostruzioni fatte successivamente, risultò che don Pino era a bordo della sua Fiat Uno: una volta sceso dall’automobile, si avvicinò al portone della sua abitazione e qualcuno lo chiamò; lui si voltò, gli scivolarono alle spalle e gli vennero esplosi dei colpi alla nuca. Fu una vera e propria esecuzione mafiosa.

Nel giugno del 1997 venne arrestato a Palermo il latitante Grigoli Salvatore, che poco dopo confessò 46 omicidi tra cui quello di don Puglisi. Riferì le ultime parole di Padre Puglisi prima di essere ucciso: “ me lo aspettavo”disse, mentre sorrideva.

Mandanti dell’omicidio furono i capi mafia Filippo e Giuseppe Graviano, entrambi poi condannati all’ergastolo.

Credo sia importante ricordare storie come queste, ripensare a uomini come questi e non dimenticarli, poiché ci fanno capire che non basta una laurea in giurisprudenza, una divisa o avere chissà quale incarico nell’organizzazione statale per contrastare il fenomeno mafioso, ma che tutti nel nostro piccolo possiamo e dobbiamo fare qualcosa.

Don Puglisi, o 3P, come i suoi ragazzi lo chiamavano, nella sua quotidianità lo ha fatto e ha trasmesso a molti questa esigenza e non era turbato dall’idea di essere ucciso perché sapeva che avrebbe lasciato un segno nella sua parrocchia e nella comunità intera.

Don Giuseppe Puglisi è ricordato ogni anno il 21 marzo, Giornata della Memoria e dell’Impegno di Libera, la rete di associazioni contro le mafie, che in questa data legge il lungo elenco dei nomi delle vittime di mafia e fenomeni mafiosi.

Il 28 giugno 2012 papa Benedetto XVI ha concesso la promulgazione del decreto di beatificazione e il 15 settembre dello stesso anno, il cardinale Paolo Romeo, arcivescovo di Palermo, ha reso noto la data della cerimonia di beatificazione di padre Pino Puglisi, di fatto avvenuta il 25 maggio 2013.

Non dimentichiamoci poi che oggi l’associazione mafiosa sta cambiando il suo volto, appare meno violenta ma è sicuramente molto pervasiva, si insidia nei partiti politici, nelle sedi istituzionali e nelle attività economiche di tutto il Paese e per questo più difficile da riconoscere e combattere. La situazione emergenziale che stiamo vivendo contribuisce, suo malgrado, a farla diventare un argomento di secondo piano; non possono avvenire dibattiti, incontri, manifestazioni, assemblee, ad esempio, nelle scuola e per questo allora diventa veramente urgente mantenere i ricordi e le conoscenze ben vivide affinché si concretizzi lo slogan del giudice Falcone: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”. E ancora “ Noi crediamo che la mafia come tutti i fatti umani abbia un inizio e una fine: a noi far si che quest’ultima si verifichi il prima possibile.”

Astori Silvia 5° Classico