SILVIA ASTORI

George Floyd muore il 25 maggio 2020 nella città di Minneapolis, in Minnesota. La morte segue il suo arresto da parte di quattro agenti di polizia intervenuti in seguito alla chiamata di un negoziante. La sera di lunedì 25 maggio 2020, George Perry Floyd acquista un pacchetto di sigarette, un impiegato del negozio, convinto che la banconota da 20 dollari sia contraffatta, chiama le forze dell’ordine.  Successivamente alla telefonata, alle 20.08, arrivano due poliziotti. Floyd siede con altre due persone in un’auto parcheggiata nei pressi del negozio. Come riportato nella denuncia della polizia, dopo essersi avvicinato alla macchina, uno degli agenti, Thomas Lane, estrae la pistola e intimato a Floyd di mostrargli le mani, tirandolo fuori dall’auto per ammanettarlo. Inizialmente Floyd oppone resistenza, ma successivamente Lane lo porta sul marciapiede adiacente all’auto, lo fa sedere, lo identifica e gli spiega di averlo arrestato per “circolazione di monete contraffatte”. Quando, alle 20.14, Lane e l’altro agente, Kueng, provano a farlo salire nell’auto della polizia Floyd si  irrigidisce, cade a terra e dice agli agenti di essere claustrofobico”. Nel frattempo  arrivano, con un’altra auto, gli agenti Derek Chauvin e Tou Thao. Nel documento della polizia si legge che i poliziotti tentano varie volte di far salire Floyd sul sedile posteriore dell’auto e che l’uomo sarebbe caduto intenzionalmente, dopo aver lottato con gli agenti e  rifiutandosi di rimanere immobile.  Ancora in piedi, Floyd inizia a ripetere di non riuscire a respirare. Alle 20.19, durante un altro tentativo di farlo entrare in macchina, Floyd  cade con la faccia rivolta verso il basso. Mentre un agente gli blocca la schiena e un altro le gambe, Chauvin gli  mette il ginocchio sinistro tra la testa e il collo. Nonostante Floyd dica più volte di non riuscire a respirare, invochi la madre e li prega di fermarsi, gli agenti rimangono immobili nelle rispettive posizioni. Alle 20.24, Floyd smette di muoversi e, dopo un minuto, di respirare e parlare. Trasportato con un’ambulanza al Centro medico, Floyd  muore nell’ora successiva. Il 26 maggio il medico legale della contea di Hennepin esegue l’autopsia. I primi risultati hanno riportano che ”non ci sono riscontri fisici a sostegno di una diagnosi di asfissia o strangolamento”, che l’uomo soffriva di cardiopatia coronarica e ipertensione e quindi si  ipotizza che “gli effetti combinati dell’immobilizzazione della polizia, delle sue condizioni di salute e di potenziali sostanze tossiche nel suo sistema hanno probabilmente contribuito alla sua morte”.

Tutto l’accaduto viene però ripreso e il contenuto del video venne prontamente diffuso, scatenando una reazione a livello globale soprattutto della  popolazione afro americana stanca dei continui soprusi da parte della polizia. Il Black Lives Matter, movimento attivista internazionale impegnato nella lotta contro il razzismo verso le persone nere, scende in strada e “ I can’t breathe”,  l’ultima frase ripetuta più volte da George, diventa simbolo di una protesta  per chiedere giustizia e dire basta alle violenze dei poliziotti americani contro gli afroamericani percepite come risultato di un latente, retrogrado e ingiustificato razzismo.  L’omicidio di George Floyd deve segnare un punto di svolta: mai più si dovranno verificare casi simili negli Stati Uniti e soprattutto questi crimini non possono rimanere impuniti.

Una prima vittoria i manifestanti la ottengono quando  Derek Chauvin viene  arrestato (così come i suoi compagni di pattuglia) e accusato di omicidio colposo. Il 20 aprile  scorso il processo termina ed  esce una notizia tanto attesa:

“L’ex agente Derek Chauvin è stato ritenuto colpevole di omicidio colposo, omicidio di secondo grado preterintenzionale e omicidio di terzo grado. La folla che a Minneapolis attendeva il verdetto ha accolto la condanna con entusiasmo, applausi e cori. Scene analoghe in molte altre città americane. Il presidente americano Joe Biden ha telefonato alla famiglia Floyd dopo la lettura del verdetto”

L’avvocato di Floyd definisce storica la sentenza che avrà “delle implicazioni significative per il Paese e anche per il mondo”.

Anche il Presidente Joe Biden sottolinea  l’importanza del verdetto: “E’ stato un omicidio in piena luce, che ha strappato i paraocchi e tutto il mondo ha potuto vedere”. Il Presidente ha  aggiunto che il verdetto è solo  un inizio. “Non è abbastanza. Servono vere riforme. Bisogna riconoscere e confrontare il razzismo sistemico, nelle attività di polizia e nel sistema della giustizia” e oltre. Serve, ha aggiunto, il passaggio di una legge di riforma della polizia e  serve il lavoro di tutti i giorni per cambiare i cuori e le menti.

Queste parole non possono che farci piacere e farci sperare che il futuro possa davvero portare una ventata di aria nuova che spazzi via ogni forma di razzismo e di discriminazione.

In attesa di tempi migliori e di un impegno fattivo di tutti noi, approfitto per consigliarvi la visione del film  “Green Book”, vincitore di tre premi Oscar nel 2019, tra cui quello come miglior film dell’anno. Green Book è basato sulla storia vera di Shirley, un virtuoso pianista, e del suo autista temporaneo in un  viaggio attraverso il pregiudizio razziale e le reciproche differenze culturali. Il titolo del film fa riferimento a una guida per viaggiatori pubblicata annualmente tra il 1936 e il 1966. Il titolo completo era Negro Motorist Green Book, ideata da Victor Hugo Green, impiegato delle poste afroamericano, il cui obiettivo era quello di segnalare ristoranti, stazioni di servizio, hotel in cui gli afroamericani potevano recarsi senza correre troppi rischi di abusi e discriminazioni. Un modo per rendere, cioè, un po’ più semplice il viaggio a persone a cui l’accesso ai luoghi pubblici era limitato specialmente nel Sud degli Stati Uniti in cui le leggi che imponevano la segregazione razziale furono abolite per legge solo a metà degli anni Sessanta con il Civil Rights Act del 1964 e il Voting Rights Act del 1965