SILVIA ASTORI
Con queste righe vorrei condividere con voi un pensiero che mi è venuto in mente ieri sera dopo aver approfondito un avvenimento storico e aver dato un’occhiata ai social.
Tribunale distrettuale d’Israele, 11 aprile 1961.
«Un uomo di mezza età, di statura media, magro, con un’ incipiente calvizie, dentatura irregolare e occhi miopi» viene processato perché è accusato di crimini contro il popolo ebraico, crimini contro l’umanità e crimini di guerra sotto il regime nazista . E’ Otto Adolf Eichmann e quella descrizione è di Hannah Arendt che segue il processo per il «New Yorker» Numerose testimonianze di dirigenti e funzionari del partito nazista rese nel corso del processo di Norimberga sottolineano il ruolo assunto da Eichmann nello sterminio degli ebrei; egli diventa uno dei più ricercati tra i criminali nazisti, viene catturato in Argentina e trasportato segretamente in Israele da agenti del Mossad, il servizio segreto israeliano. Eichmann, che si è occupato dell’emigrazione forzata degli ebrei verso altri paesi e poi, nella fase della “soluzione finale”, del oro trasporto ferroviario nei campi di sterminio, viene dichiarato dalla difesa «non colpevole, perché in base al sistema giuridico del periodo nazista egli non aveva fatto niente di male, perché le cose di cui era accusato non erano crimini ma “azioni di stato”, a cui egli aveva il dovere di obbedire» .
Eichmann, dal canto suo, dichiara che «le sue azioni erano criminose soltanto guardandole retrospettivamente, e lui era sempre stato un cittadino ligio alla legge, poiché gli ordini di Hitler possedevano “forza di legge”». Eichmann non si sente dunque un uomo malvagio o spregevole, anzi durante il processo afferma che si sente la coscienza a posto perché ha fatto tutto ciò che gli è stato ordinato.
La figura che emerge nel processo non è quella di un mostro né di un criminale assetato di sangue, ma di un uomo che dimostra la vastità del crollo morale di quegli anni.
I crimini nei campi di concentramento sono commessi in massa, da una massa di uomini normali che ha delegato la propria responsabilità morale e contro cui nessuno si oppone.
Uomini come lui sono stati tanti e questi tanti, dice la Arendt nel suo La banalità del male, non sono stati né perversi, né sadici bensì terribilmente normali.
E’ proprio questa normalità ad essere spaventosa perché ci dimostra che il male con la M maiuscola può accadere, può verificarsi su larga scala se dimentichiamo che ogni nostro gesto implica la nostra responsabilità.
Vedere oggi, quotidianamente, una massa di uomini “normali” riempire il web di insulti e minacce verso chiunque e per ogni cosa mi fa pensare che le persone non riconoscano la gravità della violenza che producono in rete e non sentono la responsabilità, come se non si trattasse di loro azioni.
La xenofobia, il razzismo, il sessismo sono ormai una costante della nostra realtà virtuale, come se non ferissero o creassero sofferenza, come se quelle parole scritte tramite una tastiera non fossero una violenza reale.
Le persone che scrivono commenti pieni d’odio non si vergognano delle loro azioni, ma si fanno forza del fatto di essere una massa, di essere un gran numero.
Proprio perché ormai sembra “banale”, normale trovare insulti pieni d’odio sui social, è importante rileggere il passato e imparare, se possibile e ovviamente fatte le debite differenze, qualcosa dalla lezione dal caso Eichmann, una lezione che forse abbiamo dimenticato troppo in fretta: «la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male».