FILIPPO MARLETTA

Spalle al muro/quando gli anni/ son fucili contro/ E la curva/ dei tuoi giorni/ non è più in salita

Se stai leggendo questo articolo credo che tu sia giovane, o che abbia molto tempo da perdere. Scommetto che almeno su una ci ho azzeccato. E se sei giovane penso che tu abbia piani per il tuo futuro, idee, sogni. Beato te. Ti sei mai chiesto cosa si prova ad aver vissuto più anni di quelli che te ne restano da vivere? Dev’essere cupo svegliarsi ogni mattina e sapere che non ti restano ancora tanti risvegli. Dev’essere triste, davvero. Questa è la condizione degli anziani, dei vostri nonni, zii, o di quei passanti che vedete girare per strada con passo lento, stanco, come se non avessero fretta, quando in realtà ne hanno tantissima. Questa è la condizione che sarà anche mia, anche vostra, un giorno.  

“I pensieri tolgono/ il posto alle parole/ Sguardi bassi alla paura/ di ritrovarsi soli”

La paura della solitudine è una costante nella società dell’uomo di qualsiasi epoca, è un istinto primario innegabile nell’essere umano. Eppure quanti vecchi, quanti anziani sono abbandonati a se stessi? E non datemi dell’ipocrita perché non sto parlando di quelli nelle case di cura o di riposo, ma quelli sani di corpo e di mente, abbandonati dai parenti, mai visitati, mai degnati di uno sguardo in più rispetto a quello necessario. E sono tristi. E sono soli. I giovani vedono i nonni morire e si disperano, ma si dimenticano la lezione molto prima che dipartano i genitori, e dopo che muoiono anche loro, e hanno imparato la lezione, sono soli. E sono tristi. E sono vecchi. E una volta non lo erano.

“Vecchio sì/ quando non è finita/ C’è ancora tanta vita/ e l’anima la grida/ e tu lo sai che c’è”

Spesso ci si sente vecchi molto prima di essere vecchi. Se dovessi tirare a indovinare, direi che è più o meno dai cinquant’anni che una persona inizia a sentire la parola “vecchio” per la prima volta riferita a se stessa, forse ironicamente, forse detta con un po’ di malizia. Quando i tuoi colleghi iniziano a chiederti quanto ti manca alla pensione, quando inizi a vedere sempre più capelli bianchi, quando non riesci più a spostare i pesi come facevi una volta, allora inizi a sudare freddo, perché sai che il tuo turno sta per arrivare. Poi quando le ossa iniziano a scricchiolare, quando Tik-Tok non è più il nome dell’applicazione con cui sprechi il pomeriggio, ma il suono incessante di un orologio che non si ferma, allora inizi a tremare, perché sai che ora tocca a te essere trattato come trattavi gli altri. Lo si vede benissimo negli atleti, che sono chiamati “vecchi” già oltre i trentacinque anni, e che si rendono tristemente conto che, se dovessero competere contro la loro versione di qualche anno prima, perderebbero. E tu sai, lo sai, che non sei finito, che puoi fare molto di più, ma la gente non crede più in te.

“Vecchio sì/ e sei tagliato fuori/ Con le tue convinzioni/ le nuove son migliori/ ragione non hai più”

Forse l’aspetto più tragico della società moderna è la sua inarrestabile velocità. Tuttavia quando ti muovi più veloce della luce, puoi vivere solo nel buio. Un tempo i valori morali rimanevano invariati nelle epoche, cambiavano una volta ogni cento anni e quando lo facevano era per piccoli passi, lentamente. La saggezza di una generazione era quella di quella dopo e gli anziani erano sempre i più assennati, i più sapienti. Oggi è già tanto se li ascoltiamo quando parlano. Purtroppo o per fortuna, i valori morali dagli anni ’60 a oggi sono cambiati con una tale forza e velocità che risulta impossibile per una generazione capire a fondo le idee e la moralità di quella prima o di quella dopo. Se doveste provare a spiegare ai vostri nonni la necessità dell’accettazione della comunità LGBT nella società, probabilmente vi risponderebbero: “Ma che diamine è un LGBT?”. E’ successo tutto troppo in fretta, non è facile tenersi al passo. E questo vale anche al contrario. Molto spesso quando un anziano parla delle sue convinzioni sociali, politiche o economiche, riceve l’appellativo di razzista, retrogrado, omofobo e così via. Ciò che mi sconvolge, tuttavia, è che quell’anziano ha passato tutta la sua vita a imparare per filo e per segno quelle convinzioni che tu hai appena demolito, per tramandarle, per fare del bene, per aiutare. Il fatto è che l’etica è diventata incomunicabile, il dialogo generazionale è sempre più duro. Un uomo passa tutta la vita a imparare la morale del suo tempo, e quando finalmente in età avanzata l’ha imparata, l’ha abbracciata, l’ha capita, nessuno la vuole imparare da lui. Questo tra le lacrime mi fa anche sorridere, perché mi immagino che tra sessant’anni la mia nipotina adolescente mi dirà che sono un idiota perché non comprendo l’importanza della battaglia per i diritti dei delfini ciechi e, se io tenterò di spiegarle che ai miei tempi neppure si parlava dei delfini ciechi, mi dirà che ciò non è una scusante per non aiutarli. Non vedo l’ora. 

“Vecchio sì/ con quello che hai da dire/ ma vali quattro lire/ dovresti già morire/ tempo non ce n’è più”

Quando sei vecchio, quando sei saggio, per la gente non vali più niente. Sei tempo sprecato. Sei un peso per lo stato, che ti mantiene mentre sei improduttivo. Al governo vogliono tagliarti la pensione, in casa vogliono prenderla anche dopo che sei morto. E tu sai, lo sai per certo, che vali più di quelle quattro lire che prendi al mese, che la tua esperienza, la tua conoscenza potrebbero giovare a tanta gente, ma nessuno è disposto ad ascoltarti. Lo spiegò benissimo l’atleta Mark Kerr, ex campione di arti marziali miste, uno sport dove il corpo porta i segni della competizione più che altrove:

“Ho cinquant’anni, ed è da quando ne avevo tredici che mi alleno. Ho combattuto finché ho potuto, finché ne sono stato capace. E adesso mi sento come se in testa avessi quest’enorme biblioteca, che se avessi dato al me giovane l’avrebbe reso il migliore del mondo, ma che adesso è… Sprecata”

Eppure non si arrendono, i vecchi. Nonostante il tentativo della società di sbarazzarsi di loro, di gettarli all’angolo, loro resistono. E alcuni di loro, quelli più soli, meno amati, hanno nello sguardo una fierezza nel dolore che può solo commuovere chi riesce a vederla, e ti guardano come per dire: “Io sono ancora qui, che tu lo voglia o no”. E ostentano con orgoglio le loro rughe e i loro abiti datati, perché se li sono guadagnati, perché hanno sopportato tanto, tantissimo per averli. E anche se potrei darvi duecento inutili buone ragioni che vi dimentichereste domani sul perché rispettare gli anziani, preferisco invece farvi solo una semplice domanda: quando sarete vecchi, pregherete di essere trattati come trattavate voi i vostri anziani, o nel modo opposto? Pensateci, perché la vita sa essere spietata.

“Vecchio sì/ Con tanto che faresti/ Adesso che potresti / non cedi perché esisti/ Perché respiri tu”